Portone della Fiera

La scritta impressa sul Portone d’ingresso della Fiera, sovrastata dallo stemma dell’Università di Gesualdo, ci riporta al 1578 quando una contesa tra il Regio Fisco e l’Università di Gesualdo circa l’esazione dei diritti della zecca, dei pesi e delle misure, si risolse in favore della comunità locale. Notizie ancora più remote non sono state rinvenute.

Le quattro fiere che vi si celebravano (25 marzo, detta dell’Annunziata; 16 luglio, detta della Maddalena; 14 settembre, detta di Santa Croce; e il 18 ottobre, detta di San Luca) si sviluppavano su una grande area collinare. Parte di questa area era libera ed aperta, ed era destinata al commercio di animali. Un’altra area, ben recintata e di forma trapezoidale (pianta originale inizi ‘800 – Fig. n. 1), era destinata ad ospitare bottegai, commercianti ed avventori vari. Circa 130 botteghe (stalli), delimitate da colonnette in pietra numerate, costituivano i negozi dove i commercianti vi esponevano le mercanzie e dove vi soggiornavano durante tutta la durata delle fiere.

In quest’area recintata vi si accedeva attraverso due portoni monumentali in pietra. Quello superiore che mena verso la collina, e quello in basso, il principale, che guarda verso il centro abitato di Gesualdo.

Tutta quest’area era interessata da notevole flusso di acqua sorgiva non adeguatamente regimentata che provenendo dalla sovrastante parte collinare spesso si disperdeva lungo il declivio e recava disagio ai cittadini ed avventori.

Risale al 1836 il primo progetto dell’ing. Massari che in occasione del rifacimento dell’acquedotto, accenna anche alla costruzione della fontana che si ergerà nell’area antistante il Portone principale della Fiera denominata appunto “Croce del Mercato”, quale crocevia di importanti scambi commerciali e collegamenti viari.

Ma è solo con il successivo progetto del 1840 redatto dall’ing. De Marco, designato dall’Intendenza di Avellino ed incaricato dell’Università di Gesualdo, che comincia a prendere forma e corpo il Portone della Fiera così come, solo in parte, lo vediamo oggi (stampa originale dell’epoca – Fig. n.2).

Il Portone della fiera era sovrastato da una Cappella dove vi si celebravano cerimonie religiose in occasione dello svolgimento delle fiere per benedire avventori ed animali, e propiziare utili affari e proficui scambi commerciali. A destra e a sinistra del Portone era prevista la realizzazione di due fontane con tre cannule ciascuna che “abbelliranno l’ingresso tuttora deforme e che daranno comodo agli avventori”. Sul Portone principale veniva realizzata una “decorazione a forma di Coda di Pavone finto per non distruggere l’attuale Cappella su di esso”. Sui muri di cinta laterali, a destra e sinistra, altre due vasche, dove vi defluiva l’acqua in eccesso da quelle frontali, avrebbero dato“vantaggio agli animali“ che in gran numero venivano condotti per scambi, baratti e compravendite.

Nel corso dei secoli le fiere si sono praticamente estinte. Le botteghe sono state demolite e le pietre numerate vennero utilizzate come materiale di risulta per rifacimento di pavimentazione di piazze e strade (ancora oggi sono visibili in alcuni punti del centro storico). Dell’elegante Portone in pietra con Coda di Pavone rimane soltanto un varco di accesso all’area mercatale oggi utilizzata come parcheggio e mercato settimanale.

 

Fonti a stampa:

  1. Catone, “Memorie Gesualdine”, Avellino 1840.
  2. Grappone “Gesualdo, la Fontana più bella del Principato Ultra”, Gesualdo Edizioni-Monumenta, Gesualdo (Av), 2023.

Fonti di Archivio: Archivio di Stato Avellino.

 

Testi a cura di Rossano Grappone: Ricercatore e studioso di storia locale.

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