CHIESA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE E CONVENTO DEI FRATI CAPPUCCINI
Ordo Fratrum Minorum Capuccinorum, deriva dalla primaria famiglia Francescana. Venne fondato nel gennaio del 1525 ad opera di un eremita predicatore, tale Matteo da Bascio (1495-1552) (Foto1), quando nell’udienza pontificia ricevette da papa Clemente VII l’autorizzazione ad annunziare ovunque la parola di Dio. Frate Matteo fu predicatore apocalittico/penitenziale che volle recuperare la primaria regola di San Francesco ispirata alla povertà, penitenza ed alla predicazione della parola di Cristo. Viveva in povertà estrema, avvolto in un saio ruvido e col capo coperto da un cappuccio, camminava scalzo e girava paesi, campagne e villaggi senza mai fermarsi. Molto sensibile verso poveri, bambini ed ammalati. I Cappuccini anticiparono lo spirito della Controriforma Tridentina conferendo una forte spinta alla diffusione intensa e capillare della predicazione del dettato Evangelico contrapponendolo alle incalzanti eresie Luterane. I Cappuccini riuscirono meglio e prima degli altri Ordini ad affermarsi tra le popolazioni proprio perché ispirati alla semplicità, alla povertà, ed alla assistenza materiale ai poveri ed ammalati. Austeri nel vestire, essenziali e chiari nella predicazione, spontanei nella quotidianità, vennero riconosciuti ed amati come i “frati del popolo”. Saranno celebrati anche dal Manzoni ne “I promessi sposi”. Anche le loro chiese non erano e non sono sontuose. Così come pure la predicazione senza orpelli, senza finzioni, ma elementare ed accessibile a tutti, soprattutto ai semplici.
LA STORIA
L’importante complesso monastico di Gesualdo si presenta ancora oggi formato da una bellissima chiesa, da un notevole convento dotato di numerose celle, refettorio, cucina, depositi, e con annessi orti e giardino.
E’ situato nella estrema periferia del paese. Luogo isolato e ben adatto allo spirito contemplativo e penitenziale dell’Ordine.
Le opere pubblicate dai Cappuccini Fr. Cipriano De Meo (1996) e Fr. Riccardo Fabiano (2014) raccontano la lunga storia del convento e della annessa chiesa della Madonna delle Grazie ricostruita dai documenti estratti dall’archivio. Alcuni vuoti documentali sono dovuti alla indisponibilità di notizie legate al decorso dei secoli e soprattutto al periodo post unitario.
Nel 1592 l’Ordine dei Cappuccini si insediò anche a Gesualdo dove, grazie alla munificenza del Principe Carlo Gesualdo, “venne eretto questo tempio dedicato alla Vergine Madre e questo Convento come sede di religiosità ed incitamento alla pietà…” Ancora oggi lo si legge su una vecchia e logora pietra collocata a ridosso della porta del convento.
Una fede pubblica del 1626 del sindaco della terra di Gesualdo ribadiva “che il Principe Don Carlo Gesualdo fece fondare a sue spese un monastero, seu chiesa Cappuccini in detta terra sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie”. Un’altra lapide in pietra (Foto 2), anch’essa collocata sul frontespizio del convento e risalente al 1629, conferma un’ulteriore ampliamento della struttura (clausura e cenobio) ad opera del Principe Niccolò Ludovisi che sposò la nipote di Carlo, Isabella.
Nel 1630 la visita apostolica del vescovo Pierbenedetti ci rende la prima e scarna descrizione della chiesa con altare maggiore ed una cappella laterale nella quale v’era una capsulam plumbeam che conteneva i cadaveri del principe Carlo Gesualdo e di suo figlio Emmanuele.
Nel 1650 il convento dei Cappuccini dovette affrontare le famose verifiche disposte da papa Innocenzio X. In realtà le “soppressioni Innocenziane” ebbero più un carattere “tecnico/pratico” che vocazionale, nel senso che furono soppressi quei luoghi che, anche per l’esiguo numero di religiosi, non erano in grado di garantire il rispetto dell’osservanza regolare. A Gesualdo sia il convento dei Cappuccini, che quelli ben più muniti dei Domenicani e dei Celestini, superarono facilmente tale ricognizione.
Nel 1770 chiesa e convento vennero ampliate ad opera del padre Guardiano e Provinciale dell’Ordine Fr. Giovani Crisostomo da Crispano. La chiesa, secondo il Catone, era di dimensioni simili a quella della Collegiata di Sant’Antonino.
Nel 1784 venne finalmente realizzata la bellissima statua della Madonna delle Grazie (prima di questa data v’era solo un quadro). Costò 70 ducati finanziati dai devoti Massari della terra di Gesualdo e venne realizzata a Napoli dai maestri F.lli Cianciulli.
La chiesa ed il convento furono sempre serviti da una nutrita famiglia di religiosi che officiavano regolarmente ed adempivano alla loro missione primaria di assistenza ai poveri ed ammalati.
Purtroppo durante il decennio Francese (1806-8015) si ripropose nuovamente il rischio della soppressione. La politica Napoleonica volse le sue attenzioni soprattutto verso i monasteri e conventi cosiddetti “possidenti” ovvero dotati di proprietà, preziosi, ed anche di donazioni, lasciti, rendite , etc… I Conventi dei Domenicani e dei Celestini furono i primi ad essere soppressi. Gli ori ed i preziosi furono razziati, le campane fuse per piombo dei cannoni, le proprietà ed i benefici ricondotti nelle casse dei Francesi. Destino leggermente diverso toccò al convento dei Cappuccini. In effetti trattandosi di Ordine mendicante, ovvero di frati che vivevano solo di questue e limosine, senza aver possedimenti, o rendite rilevanti, non venne emanato un provvedimento che ne disponesse una vera e propria soppressione, quanto piuttosto si trattò di una sospensione delle officiature che però vennero ben presto riprese con Real Decreto del 1/05/1817, ed anche con ristoro di 26 ducati per tutto il quinquennio successivo.
Nel 1841 il convento venne abbandonato dai frati a causa delle pericolanti strutture che minacciavano di crollare. Una copiosa e defaticante corrispondenza tra il Ministero Affari Ecclesiastici, l’Intendenza P.U. ed il convento tendente a far gravare sulle casse del comune di Gesualdo gli oneri per il restauro degli immobili produssero, appunto, il risultato che i religiosi abbandonarono il convento. Una dettagliata perizia del tempo indicava in 55 ducati la spesa per lavori urgenti ed in 63 quelli non urgenti.
Il Consiglio di Intendenza della Provincia di Principato Ulteriore insisteva perchè fosse il comune a farsi carico dei lavori di restauro così come aveva sempre fatto in passato anche per i medicamenti ai Frati (26 ducati annui li si ritrovano negli esiti del 1806 e così pure negli anni 1810 e 1811).
Nel 1845 finalmente i frati Cappuccini rientrarono nel convento. Il comune aveva provveduto a proprie spese al restauro degli immobili. Il Ministro Affari ecclesiastici raccomandò in proposito che venissero mandati a Gesualdo “dai monasteri della provincia di Napoli e da Terra di Lavoro un competente numero di religiosi onde occuparsi con efficacia e zelo del bene spirituale di quei naturali”.
Nel 1861 con le leggi postunitarie e le successive leggi eversive del 1866, la vita del convento venne interrotta con l’ennesima e radicale soppressione dovuta appunto alle leggi Sabaude.
Il primo Decreto Luogotenenziale n. 251 del 17/02/1861 trasferiva il patrimonio degli enti ecclesiastici soppressi alla Cassa Ecclesiastica dello Stato. I giudici di ogni singolo mandamento (per Gesualdo si faceva riferimento a Frigento) coadiuvati da segretari e cancellieri avrebbero provveduto alla “presa di possesso” degli immobili e dei beni (15/03/1862). Alla gestione ed alla riscossione delle rendite avrebbe provveduto il Demanio dello Stato. I ricevitori del registro e bollo ed altri agenti della Cassa accertavano le rendite nette degli enti soppressi, base per la determinazione delle pensioni dei religiosi effettivi. Con la legge n. 3036 del 07/07/1866 veniva soppressa la Cassa Ecclesiastica con il conseguente passaggio dei beni immobili al Fondo per il Culto.
In questo contesto normativo così complesso e particolareggiato a nulla valsero gli accorati appelli degli inizi 1862 rivolti al Ministro del Culto di Torino dai cittadini, amministratori e dal clero di Gesualdo, Frigento e Sturno per evitare la soppressione del convento ed il “concentramento“ dei religiosi in altre case. Nemmeno le tre delibere del comune di Gesualdo dell’aprile 1862 sortirono l’effetto desiderato. Gli amministratori chiedevano la concessione in enfiteusi del convento e giardino, si dichiararono disponibili a farsi carico dell’officiatura delle messe, e avrebbero destinato il convento ad ospedale/ricovero per malati e mendicità.
Il 24 aprile 1865 il Guardasigilli Ministro Segretariato di Stato Affari del Culto di Torino emanò l’Articolo Unico- “I componenti la famiglia religiosa dei Cappuccini di Gesualdo Principato Ulteriore, verranno concentrati in altri conventi del loro ordine nelle provincie napolitane”. I religiosi che in quel periodo si trovavano in convento e che sarebbero stati “concentrati” in Avellino erano il padre Guardiano Angelo da Napoli, più 3 sacerdoti e 4 terziari serventi.
Interessante il verbale del 12/11/1865 con il quale il ricevitore delle tasse di Frigento prende in consegna da padre Angelo da Napoli i beni contenuti nella chiesa:
“calice d’argento, corona d’argento della Vergine e del Bambino, un’urna per sepolcro, tre statue di legno, una della Vergine delle Grazie, una di S. Antonio da Padova ed una di S. Pasquale Bylon, di autori ignoti (Oggi la chiesa è impreziosita da altre due bellissime statue, una di San Francesco e l’altra di San Pio da Pietrelcina). Altri due quadri in tela, uno di S. Fedele e l’altro dell’Annunciata. Un quadro storico messo a capo dell’altare maggiore di autore ignoto, e fisso al muro… delle dimensioni di diciotto palmi largo e venticinque di altezza… in diversi punti logorato dalla umidità… rappresentante il fondatore della chiesa Carlo Gesualdo, uomo abbominevole, che la fece costruire in espiazione d’aver ucciso moglie e figlio per sospetta infedeltà. 5 fili segnacoli in oro, 5 paia pendenti in oro, sei anelli d’oro, tutti consegnati al sindaco Felice Catone. Nella biblioteca erano custoditi ben 153 libri antichi”.
Dell’esistenza di questo pregevole “quadro storico”, opera di Giovanni Balducci (1560-1631), già si era a conoscenza da tempo. Questa volta però siamo difronte ad un primo documento d’archivio inedito che ci dà notizie certe circa la sua presenza nel convento dei Cappuccini a Gesualdo. Anche molto interessante è una singolare e non meglio identificata “urna per sepolcro”.
Dopo la soppressione della Cassa Ecclesiastica ed il subentro dell’Amministrazione del Fondo Culto, il convento ed il giardino vennero ceduti al sindaco Felice Catone e quindi passarono in proprietà del comune di Gesualdo. Non fu così per la chiesa che invece venne trasferita solo in uso (verbale del Ricevitore del Registro di Frigento del 16/04/1872)
Negli anni successivi il convento svolse attività di ricovero ed assistenza ai poveri. Il comune vi progettava anche la realizzazione di un asilo infantile.
Nel luglio del 1906 passò dalla Provincia Religiosa di Napoli a quella di Foggia e nel maggio del 1909 divenne sede di teologia morale.
Verso la fine dello stesso anno vi dimorò per alcuni mesi Fra Pio da Pietrelcina. Oggi in convento sono conservate importanti reliquie, anche corporali, del Santo in uno all’umile cella dove visse.
Il convento e la chiesa vennero ancora ruinati dal tremendo sisma del 1910 ed ancor di più dal terremoto del 1930 (terremoto del Vulture) quando i Cappuccini dovettero affrontare molti sacrifici in quanto il comune non aveva ricevuto fondi adeguati per il restauro perché non inserito tra quelli terremotati.
Nel 1956 con contratto del 7 maggio, il comune concesse in locazione per 29 anni ai frati minori Cappuccini di Foggia il convento in uno alla chiesa. Questo contratto venne sempre contestato dalla Prefettura di Avellino e dal Ministero dell’Interno perché il comune non aveva la proprietà della chiesa, che invece rimaneva in capo al Fondo per il Culto, ma solo del convento. Nel 1964 con delibera consiliare del 24 gennaio il Comune donò alla Provincia di Foggia il convento ed annesso giardino a condizione che la popolazione potesse attingere acqua dal pozzo del giardino e riservandosi l’uso di parte del convento per scuola media statale. Con la stessa delibera consiliare si fece voti affinché si correggessero le anomalie del contratto del 1956.
I successivi terremoti del 1962 e 1980 segnarono ancora difficoltà e sofferenze per i Cappuccini e per tutta la comunità Gesualdina. (Foto n. 3- Prospetto frontale. Restauro post terremoto 1980)
Il convento è tuttora di proprietà della Provincia di Foggia, mentre la chiesa appartiene al Ministero dell’Interno ed è gestita con in fondi FEC.
Oggi il convento vive un’intensa attività mistica e religiosa. Molto accorsate le celebrazioni e la vita di comunità. I frati Cappuccini di Gesualdo per secoli, pur soffrendo difficoltà e patimenti, hanno retto tenacemente le sorti di questo complesso monastico e della chiesa della “Madonna delle Grazie”. E’ grazie a loro se oggi questi luoghi sono divenuti importanti sedi di pellegrinaggio, di culto e di vita contemplativa.
LA CASA RELIGIOSA DEI CAPPUCCINI NELLA RELAZIONE DEL 1872
“Fabbricato dell’ex Convento dei Cappuccini posto nel comune di Gesualdo fuori dall’abitato, unitamente alla chiesa che il detto comune può chiudere o tenere aperta al pubblico culto, nonché il giardino adiacente, formando quest’ultimo un sol tutto inseparabile con l’edificio monastico, ed indispensabile perché il convento possa essere adattato e ridotto a quell’uso di pubblica utilità, come ne fu fatta istanza, con tutti diritti, gli obblighi, le ragioni, le servitù attive e passive, e di qualsiasi natura al medesimo inerenti, e spettanti al detto ente soppresso.
Gli immobili ceduti si compongono: 1) casa religiosa composta di due piani con portico coverto, e cortile scoverto, avente nel mezzo un pozzo di acqua sorgiva; componendosi il piano inferiore di due stalle, e quattro bassi, uno de quali si immette nel giardino con passaggio al refettorio, alla canova (cànova: magazzino/dispensa dove venivano conservati importanti quantitativi di provviste alimentari, soprattutto vino, grano, sale, olio, etc.), cucina e cantina, nonché una stanza precedente alla sagrestia, e chiesa con scalinata per la quale si accede al coro, ed alla sagrestia superiore; Il piano superiore contiene tre dormitori che danno l’accesso a ventiquattro celle ed hanno una loggiata coverta, nonché ad una stanza alquanto grande tra oriente e settentrione; 2) Una chiesa ad una navata sotto il titolo della Vergine delle Grazie con tre altari di stucco, e relativa sagrestia, confinante ed attaccata all’edificio monastico. 3) Lo adiacente giardino, la cui parte superiore per uso di piccolo orto, che può irrigarsi ricostruendo il condotto dell’acqua, e la parte inferiore anche di natura seminativo è coverta da diversi alberi fruttiferi. E’ della superficie di circa un ettaro ed are trenta, e confina, come la casa religiosa, coi beni di Forgione Giacomo, Scotti Achille e via pubblica”
LA STATUA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE E LA “PALA DEL PERDONO”
Le due opere sembrano accumunate da un unico destino artistico che le vede avvicendarsi in un turbinio di spostamenti e ricollocazioni, quasi come un valzer dove l’una cede il posto all’altra e viceversa, per poi riavvicinarsi ed allontanarsi di nuovo.
La statua della Madonna delle Grazie venne realizzata nel 1784 dai maestri Cianciulli di Napoli. E’ alta 160 cm e costò 70 ducati. Fino ad allora v’era soltanto un semplice quadro.
Nel 1928 venne eretto sopra l’altare maggiore, davanti la “Pala del Perdono” che già dal 1865 si trovava nel medesimo luogo, un tempietto con quattro colonne in marmo dove venne sistemata la statua della Vergine che appariva però come “imprigionata” a causa delle dimensioni ridotte della nicchia che la conteneva. (Foto nn.rr. 4 e 5,1930. Nella foto n. 5, in basso a dx, cerchiata in rosso, si nota la testa di Eleonora D’Este ancora in abito monacale, ovviamente prima del restauro della tela)
Questo tempietto oltre a limitare la visibilità della “Pala” risultava sempre più inadeguato alla maestosità della statua della Vergine che in questo spazio angusto non risultava apprezzabile né come bene sacro, né come opera d’arte. Nel 1954 la “Pala del Perdono” venne spostata in cornu evangeli per consentire l’abbattimento del vecchio tempietto e la costruzione di un nuovo trono ben più adeguato alle dimensioni ed alla bellezza della statua, recuperando anche le preziose colonne in marmo. La statua vi rimase fino al 1980. Dopo il terremoto venne spostata nella chiesa provvisoria, già sede della Gioventù Francescana, e la “Pala” del Balducci ritornò sull’altare Maggiore. Dopo i restauri la statua ritornò anch’essa nella chiesa originaria, ma venne collocata nella cappella entrando a sinistra dell’ingresso principale, dove tuttora si trova.
PIETANZA TIPICA DEI FRATI CAPPUCCINI DI GESUALDO: “LA CIAMBOTTA”
Il termine “ciambotta” nel dialetto corrente gesualdino sta ad indicare qualcosa di negativo. E’ un aggettivo dispregiativo. Si usa di solito per indicare un pasticcio, un pastrocchio, confusione, disordine.
Nella cucina gesualdina invece, il termine “ciambotta” assume un significato radicalmente opposto, indica un piatto buonissimo, salutare, leggero e prelibatissimo. Anticamente la tradizione pauperistico/mendicante dell’Ordine dei Cappuccini di Gesualdo costringeva i frati a questuare e raccogliere tutto quel poco che potevano ottenere dagli altrettanto poverissimi, ma generosi, cittadini del luogo. Ortaggi (coltivazione tipica del luogo, in terreni ricchi di acqua) qualche frutto, pane raffermo, etc. I frati accettavano tutto e non gettavano nulla. Tutte le parti degli ortaggi raccolti, anche quelle un po’ toccate che oggi getteremmo via, venivano invece messe in un unico pentolone e fatte cuocere fino ad amalgamarle. Resti di melanzane, bucce di patate, pomodori avanti di maturazione, zucchine, peperoni, sedano, etc. Tutti ortaggi, o parti di essi, che venivano dalla terra e dalle limosine. Un piatto povero, semplice, ma che offriva un grande ristoro ai poveri, mendicanti ed ammalati che numerosi sostavano davanti la porta del convento in attesa di un mestolo di “ciambotta” che i frati non gli facevano mai mancare. Il termine “ciambotta” deriva proprio da questo miscuglio di ortaggi che contrariamente al significato dialettale originario, rappresenta non solo una pietanza “meravigliosa” che appartiene alla tradizione contadina di Gesualdo, ma è anche un pezzo di storia conventuale dei nostri amatissimi frati Cappuccini.
A tale proposito si riporta il testo di una lettera/cartolina del 16/10/1940 che il novizio D’Amico, dopo essere stato trasferito a Gesualdo, inviò al suo arciprete don Cesare Scasserra del convento di Roccamandolfi -Campobasso- (oggi provincia di Isernia).
“Rev. Arciprete, da qualche giorno mi trovo in questo convento. Ho voluto abbandonare il mondo e ritirarmi in questa solitudine. Per la prova della mia vocazione il Padre Guardiano ha creduto bene assegnarmi al reparto cucina! Era proprio quello che desideravo, e non vi nascondo che diventerò un ottimo Fra cuciniere. Intanto, tra i non pochi piatti, ho appreso anche l’alta specialità della…”Ciambotta”: è meravigliosa. Appena verrò costì l’insegnerò a Filomena. Quando la gusteremo insieme vedrete che delizia…. Affettuosi saluti.”
Fonti a stampa:
-G. Catone, “Memorie Gesualdine” – 1840.
– Melchiorre da Pobladura, a cura di, “La severa repressione di Fra Matteo da Bascio” (1495-1552), in Archivio Italiano per la Storia della Pietà, Vol. III, Roma 1962.
– Fr. Cipriano De Meo, “La città di Gesualdo”, Ed. il Calamaio- WM Stampa Editoriale, Atripalda (Av) 1996.
-Fr. Riccardo Fabiano,” Il Convento di Cappuccini di Gesualdo”, Grafiche Grilli Foggia, Curia Provinciale dei Cappuccini, Foggia 2014.
Fonti d’Archivio:
– Archivio Segreto Vaticano
-Archivio di Stato Avellino, Fondi Intendenza P.U. ed Intendenza di Finanza.
-Archivio Centro Studi e Documentazioni Carlo Gesualdo- Gesualdo.
-Archivio della Sessoriana -FEC – Roma.
-Archivio Provveditorato OO.PP Campania e Molise.
-Altre notizie estratte da Archivio Fr. Cappuccini di Foggia. Contatti mail con Fr. Pasquale Mastropietro, che ovviamente si ringrazia per la cortese disponibilità.
-Allegate foto 1,2,3,4, e 5
Ricerche, studi e testi di Rossano Grappone.





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